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I marmi del Partenone: storia di una contesa Atene vs Londra

Lo scorso 19 gennaio, di fronte al Museo dell’Acropoli di Atene, centinaia di persone, assieme ai rappresentanti di tutte le forze politiche greche, si sono ritrovate in una veglia notturna per affrontare l’ennesima protesta contro il governo britannico.
Questa volta non c'entrano i problemi finanziari della Grecia, ma la contestazione aveva l'obiettivo di attirare nuovamente l'attenzione sulla richiesta, avanzata ormai da molti anni, di riavere indietro i fregi del Partenone. Questi furono sottratti agli inizi dell’Ottocento dal diplomatico inglese Lord Elgin e furono trasferiti, nel 1816, al British Museum di Londra dove tuttora risiedono.
Questa diatriba è anche finita in tribunale per volere del governo greco che ha affidato la propria difesa all'avvocatessa libanese Amal Alamuddin, moglie del noto attore statunitense George Clooney. Lo stesso Clooney, non molto tempo fa, si era espresso a favore della Grecia durante la presentazione del film “Monuments Man” - che narra le imprese di un gruppo di uomini incaricati di preservare le opere d’arte dalle razzie dei nazisti - provocando la reazione del sindaco di Londra.
La battaglia si è inasprita lo scorso dicembre quando, in occasione di una mostra per celebrare i 250 anni dell’Hermitage di San Pietroburgo, sono stati esposti alcuni pezzi concessi in prestito al museo russo dal British Museum.

Inoltre nuova e forte scossa alla vicenda è stata data dalla campagna portata avanti dall'ambasciatore dell’Unesco, Marianna Vardinoyiannis, intitolata «le 3 R» («Ritorno» dei marmi, «Restauro» del Partenone e « Ripartenza» della storia) che ha dato nuovo vigore alle istanze greche.
È ormai da moltissimi anni che la Grecia chiede che i meravigliosi marmi tornino in patria, perché il Partenone è il monumento simbolo dell’Acropoli di Atene e dell’intera Grecia, oltre che essere uno degli edifici più belli di tutta l’umanità.

Il Partenone (da Wikipedia). Si noti la quasi totale assenza delle sculture nei frontoni e nelle metope. 

Ma andiamo a ricostruire le peripezie e le vicissitudini di cui furono protagoniste queste sculture fino al loro arrivo nel Regno Unito.
Il Partenone subì i maggiori danni nel 1687, durante la cosiddetta guerra di Morea, una delle tante guerre turco-veneziane combattute per il controllo del Mediterraneo orientale. In quell'anno i Veneziani, sotto il comando del doge Francesco Morosini, attaccarono Atene. Gli Ottomani fortificarono l'Acropoli ed usarono il tempio come deposito per le munizioni. Il 26 settembre, una palla di cannone veneziana, sparata dalla collina del Filopapo, fece esplodere il magazzino e la costruzione fu fortemente danneggiata: il tetto crollò, molte colonne furono decapitate e le sculture vennero gravemente rovinate. Lo stesso Morosini, desideroso di riportare a Venezia qualche "souvenir" ordinò ai suoi soldati di staccare il gruppo raffigurante i cavalli e il carro di Atena. Purtroppo a causa di un errore, il fregio cadde e si frantumò sulle rocce sottostanti. 
Fu ai primi dell'Ottocento che iniziò la vera e propria spoliazione dei marmi del Partenone. In quel tempo venne nominato ambasciatore di Costantinopoli il diplomatico britannico Lord Elgin. Secondo alcuni studiosi il progetto di effettuare una missione parallela in Grecia risale al governo britannico; altri ritengono invece che si trattò di un'iniziativa personale dello stesso Elgin intenzionato a "contribuire con la sua ambasciata al progresso delle belle arti in Inghilterra". 
Sembra che inizialmente lo scopo di Elgin fosse quello di far eseguire semplicemente dei calchi e dei disegni dei fregi da utilizzare per insegnamento degli artisti inglesi. 
Fu invece il cappellano dell'ambasciata, il reverendo Philip Hunt che lo accompagnava, a trasformare la spedizione in un vero e proprio saccheggio. 
Nel 1801 numerose squadre di operai guidate dall'italiano Lusieri, uomo di fiducia di Elgin, con metodi piuttosto grossolani staccarono dai frontoni e recuperarono dalle rovine una dozzina di statue, mentre rimossero quasi sessanta lastre del fregio e quindici metope (per non parlare del tempio di Atena Nike e di una cariatide dell'Eretteo). 
I marmi furono spediti in Inghilterra in nave all'interno di 200 ceste, dodici di queste naufragarono a Capo Malea e furono recuperate dopo lunghe e difficili operazioni che andarono avanti tre anni. Le ultime 80 ceste arrivarono a Londra nel 1812. Tutto venne sistemato temporaneamente in un padiglione fatto appositamente realizzare a casa di Elgin.
Nel frattempo il diplomatico inglese dovette affrontare una serie di complicate vicende personali, quasi una maledizione per i "sacrilegi" compiuti sul Partenone. Durante il suo soggiorno a Costantinopoli si acuì la malattia di cui soffriva da tempo, probabilmente la sifilide, che gli causò la perdita del naso sfigurandolo tanto da costringerlo a portare una maschera in pubblico. Inoltre, forse a causa della malattia del padre, il suo primogenito era affetto da epilessia, e il suo secondo figlio maschio, William, morì a poco più di un anno d'età per una strana febbre. Per alcune sue azioni da ambasciatore si pose in una spiacevole posizione diplomatica con la Francia che gli valse il risentimento personale di Napoleone. Nel 1803, Elgin lasciò Costantinopoli per tornare a Londra e, confidando, nelle proprie immunità diplomatiche, attraversò la Francia. Napoleone lo fece arrestare come prigioniero di guerra insieme alla moglie e ad uno scozzese che viaggiava con loro. Elgin venne trattenuto per diverso tempo mentre gli altri due furono lasciati andare dopo pochi giorni. Finalmente liberato, Lord Elgin tornò in patria ma scoprì che la moglie era divenuta l'amante dello scozzese. Ne seguì un lungo processo di divorzio che causò la fine della sua carriera politica e la sua crisi finanziaria. Vessato dai debiti, nel 1816 vendette i marmi ad un prezzo molto più basso di quello che aveva chiesto inizialmente al British Museum. Qui vennero collocati in una galleria appositamente realizzata dove tuttora risiedono.

Lord Elgin, in un ritratto del 1788 di Anton Graff (da Wikipedia) 

Prima ancora che le sculture lasciassero la Grecia, i saccheggi di Elgin (e di Hunt), suscitarono accese discussioni che ancora oggi non si sono placate: come ho detto in apertura del post è in atto in questo momento una dura battaglia legale intrapresa dal governo greco contro il British Museum per la restituzione dei marmi. 
Ma chi ha ragione in questa diatriba? La risposta non è così scontata come sembra e deve tener conto di vari aspetti. 
Di getto, verrebbe da schierarsi dalla parte greca, perché l'asportazione di opere d'arte dal proprio luogo di origine, specie se condotta come un vero e proprio saccheggio, è un atto da condannare. Dal punto di vista della ricerca poi, l'allontanamento dei reperti archeologici dal loro luogo di appartenenza genera una decontestualizzazione assolutamente lesiva per la conoscenza storica ed archeologica. 
Dopo una riflessione più attenta, però, non si può non ammettere che se i marmi del Partenone non fossero stati asportati da Elgin, molto probabilmente non sarebbero arrivati fino a noi e di essi non si avrebbe avuto conoscenza (se non indirettamente attraverso alcuni calchi e disegni effettuati da artisti e studiosi del Sei-Settecento). Il Partenone, ai tempi di Elgin, era infatti in stato di totale abbandono, preda di continue razzìe e in balìa degli eventi: ho già ricordato come fosse stato adibito a polveriera dagli Ottomani durante la guerra di Morea, ma non dobbiamo dimenticare che precedentemente era stato trasformato in chiesa e poi in moschea con profonde alterazioni del suo stato originario. Non solo, alcuni pezzi del tempio furono riutilizzati in altre costruzioni: alcune sculture vennero recuperata da Elgin nei pressi dell'Acropoli attraverso la demolizione in un'abitazione che il diplomatico inglese aveva acquistato all'uopo. In conclusione, per quanto i metodi di Elgin siano stati discutibili, senza il suo intervento probabilmente le statue che appartengono a quello che è ritenuto il più importante complesso scultoreo dell'antichità, sarebbero andate completamente perdute. 

Si tratta quindi di una questione delicata, difficile e complessa. Lasciamo ai giudici, che seguono il caso finito recentemente nelle aule di tribunale, "l'ardua sentenza". 


P.S. Alla descrizione dettagliata dei fregi dedicherò un prossimo post.



Bibliografia:

  • Etienne F., Etienne R. 1994, La Grecia antica: archeologia di una scoperta, Electa/Gallimard;
  • Bianchi Bandinelli R. 1999, Introduzione all'archeologia classica come storia dell'arte antica, XV ed., Editori Laterza;
  • www.newnotizie.it;
  • www.lastampa.it


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